pubblichiamo querste riflessioni di Michele Zanetti sul “disatro ” di Venezia.
CASSANDRE
Sono certo, gentili Amici, che qualcuno di voi ricorda Cassandra, la profetessa di sventura
della Grecia classica. Quella che prediceva disgrazie e che, per questo, non era
particolarmente amata dai suoi compatrioti.
Ebbene i drammatici fatti di questi giorni, accaduti nel primo anniversario della tempesta
Vaja, che ha ripulito le montagne venete di alcuni milioni di alberi, mi hanno fatto pensare
a proprio a lei, alla leggendaria e poco fortunata Cassandra.
Mi hanno fatto pensare, per associazione di idee, a quanti, nel passato recente
– appena un paio di decenni addietro – sostenevano che il MOSE (acronimo di
MOmento SEnsazionale: quello in cui entrerà in funzione) è un’opera inutile, costosa
e persino dannosa.
Ebbene c’ero anch’io tra quelli: Cassandra minore e di terza fila, ma pur sempre parte
del manipolo di Cassandre che tentava di ragionare e di far ragionare i cittadini, gli
amministratori e persino i tecnici, i grandi ingegneri.
Si tentava di farli ragionare con dati semplici e facilmente comprensibili, riguardanti
l’impatto ambientale, i costi, le soluzioni alternative a bassissimo costo, i mutamenti
climatici e ambientali planetari in atto.
Insomma cose alla portata dei bambini di scuola materna.
Purtroppo, però, non c’è stato nulla da fare, perché “dio” – che da noi, società con
solide radici cristiane, ricca, democratica ed evoluta ha un solo nome: denaro!
– ha vinto ancora una volta.
E con lui ha vinto lo spirito dei Faraoni d’Egitto, lo stesso che animava i fautori del
Ponte sullo Stretto e di mille altre opere destinate a “lasciare un segno nella storia,
nell’ambiente e nell’economia”; ovviamente negativo.
Ecco, dopo vent’anni, siamo qui a stracciarci le vesti, a incolpare questo e quello
(patetica l’affermazione del governatore Zaja che quella è “un’opera dello stato”,
come se il suo partito l’avesse mai osteggiata e se i suoi compagni di giunta
regionale Galan e Chisso non l’avessero generosamente avvallata e adottata a fini
di lucro).
E allora, tutti al capezzale di Venezia – ma più corretto sarebbe dire al “capezzolo”
di Venezia, perché di latte da mungere ce n’è ancora – a piangere, a disperarsi,
a pompare acqua e a sollecitare la conclusione dell’opera più sbagliata, impattante,
costosa e inutile dell’Italia repubblicana dopo la zona industriale a gestione
camorristica di Gioia Tauro.
Tutti, indistintamente, senza un minimo di pudore e di pulsione critica e, oltretutto,
disinformando!
Perché il MOSE doveva fermare le acque alte fino a 140 cm sul medio mare e dunque,
nel caso di cui parliamo, non sarebbe neppure entrato in azione.
Così comunque vanno le cose e ora si vuole correre perché sia operativo entro il 2021
(!!!), quando la temperatura degli oceani sarà salita di almeno tre gradi rispetto a
quella storica e l’opera sarà superata del tutto dal previsto, lento e inarrestabile
incremento del livello dei mari.
Solo questo desideravo dirvi, gentili Amici, per sollecitarvi un breve, ma razionale,
momento di riflessione critica. E per concludere vi propongo il disegno di cui ho parlato
recentemente.
Ritrae una Piazza Indipendenza fantascientifica, perché allagata dal mare; e risale
niente meno che al “lontano” – si fa per dire – 1985.
Michele Zanetti
Dalla mostra “Nell’anno dell’ambiente”, ANS, 1985.